XII.
—Che cosa pensa di fare?—andava dicendo tra sè il signor Prospero Gentili, mentre rifaceva a lento passo il sentiero dei frassini.—Se non provvede lui, a levarmi di qua, io non ci riesco di certo. Parlare all'Adelina! persuaderla? io? Fossi matto! Quella diavola lì sarebbe capace di far peggio; d'innamorarsi del padre Anacleto, come s'è già innamorata del convento dei matti, solo a sentirne discorrere. No, no, io non le parlo di nulla; scrivo a lui, come se avessi fatto il discorso, e un conseguente buco nell'acqua; anzi preparo la lettera fin d'oggi, per non avere altre noie domani. Signor cavaliere degnissimo, a Lei preme il negozio, ci pensi Lei. Questo le diranno domani i miei pregiati caratteri.—
Tra questi ed altri pensieri di tal fatta, il signor Prospero giunse al convento. L'orologio del cortile segnava le due e mezzo. Nessuno dei frati era in vista, e la cosa parve strana al signor Prospero, che li aveva lasciati quasi tutti a soleggiarsi nel cortile, quando era stato chiamato al parlatorio del ponte. Ma più strano gli parve di non trovare il suo nepote, o sua nepote, secondo vi tornerà meglio detto. S'avvicinò all'uscio della sua cella e battè ripetutamente con le nocche delle dita, ma non ebbe risposta.
Andò allora lungo il corridoio, fino all'ingresso del capitolo. Giunto colà, gli venne udito un rumore confuso di voci. Girò la maniglia per entrare, ma l'uscio era chiuso di dentro. Che novità era quella? Per qual ragione si rinchiudevano i frati, se in convento non c'erano che loro? Il padre Prospero credette che fosse stato chiuso per inavvertenza, e si provò a bussare.
Poco dopo si udì il passo di un uomo che veniva ad aprire. Il catenaccio scorse sugli anelli, l'uscio si dischiuse a metà, e comparve nel vano la faccia del padre Atanasio.
—Ah, siete voi, padre Prospero?
—Sì, son io. C'è capitolo, a quanto pare.
—C'è capitolo;—rispose il padre Atanasio con aria evidentemente impacciata, e senza dischiudere intieramente l'uscio.
—Bene;—ripigliò il padre Prospero;—eccomi dunque a prendere la mia parte.
—Scusate;—replicò quell'altro;—si tratta di gravi faccende; e voi… siete ancora novizio.—
Il padre Prospero fu colpito da quella osservazione, altrettanto giudiziosa quanto inaspettata.
—È vero, perbacco!—diss'egli.—Sono ancora novizio e non ho voce in capitolo. Vuol dire che non ci sarà neanche il mio nepote?
—S'intende; andate dunque, ed abbiate pazienza;—rispose il padre Atanasio.—Tra una mezz'ora abbiamo finito.—
E con queste parole il padre Atanasio si accomiatò, richiudendo l'uscio sul naso al padre Prospero; padre di nome, ma novizio di fatto, ad onta delle sue cinquantotto primavere.
—Non è in capitolo;—mormorò il padre Prospero, allontanandosi.—Dove diavolo sarà?—
Così dicendo, proseguì fino in fondo al corridoio, dove era l'ingresso laterale alla chiesa.
La chiesa, come sapete, era stata convertita in biblioteca. Tra la chiesa e il capitolo c'era la sagrestia. Il padre Prospero entrò dunque in biblioteca, sperando di trovare colà quel diavolo di serafino biondo, che si era reso invisibile.
In chiesa non c'era anima nata. E ciò si capiva per i frati, che erano tutti a capitolo; ma non si capiva per il monachino, che a capitolo non c'era.
—Dove diavolo sarà andato?—tornò a chiedere il padre Prospero.
La domanda di certo fu fatta a voce alta, e qualcheduno di certo udì il suono della sua voce, poichè subito dopo il padre Prospero si sentì chiamare con un sibilo sommesso ma prolungato. Il suono veniva dall'alto. E il padre Prospero, prima di credere ad una chiamata del Signore, chè in verità non si sentiva tanto in grazia da meritarla, alzò gli occhi alla ringhiera che girava tutt'intorno al cornicione, fino all'arco del presbiterio. Proprio lassù, dal vano di un uscio che metteva sul ballatoio, vide apparire la testolina bionda del serafino.
—Ah!—gridò il padre Prospero.—Finalmente!—
Ma quell'altro gli mozzò le parole in bocca, mettendosi un dito sul labbro e ripetendo il suo sibilo; indi, quasi a commento della raccomandazione, gli accennò verso l'interno.
Il padre Prospero sapeva quello che già sapete voi, cioè che di là dalla sagrestia c'era il capitolo. Lì presso c'era l'andito per dove si andava in sagrestia; ma l'uscio di questa era chiuso. Per altro, in quell'andito medesimo c'era la scala che metteva al campanile, trasformato in osservatorio, e a mezza scala si riusciva da una parte sul cornicione della chiesa, dall'altra in certe stamberghe, le quali servivano probabilmente di seccatoio agli antichi frati di San Bruno, ed erano proprio sopra alla sagrestia, al capitolo, e alle celle del primo piano.
—Ah, capisco!—disse il padre Prospero tra sè.—Vorrà sentire quel che dicono i frati, nella loro adunanza segreta. Curiosità di donna! Solamente vorrei sapere come farà ad udire i loro discorsi dal pian di sopra.—
Il padre Prospero non sapeva, e i frati di San Bruno avevano dimenticato dal canto loro, che le stamberghe del pian di sopra avevano il solaio di legno, senz'altro ostacolo di mattoni e di calce tra esse e le sale del pian terreno. Non lo sapeva neanche il serafino, prima d'allora; ma lo aveva scoperto poc'anzi. Sapete il proverbio: chi cerca trova. Il serafino aveva cercato; era giusto che trovasse.
Ma perchè aveva cercato? Dovete sapere, umanissimi lettori, che quella mattina frate Adelindo si era avveduto d'una cert'aria di segreto con cui si salutavano i conventuali di San Bruno, e di certe paroline che si bisbigliavano passando. Inoltre, qualcheduno di loro aveva guardato lui con aria più affettuosa e più malinconica del solito. Intorno alle occhiate, agli affetti e alle malinconie de' suoi compagni, il serafino biondo aveva un'opinione già fatta; ma quel giorno gli parve che la malinconia abbondasse. C'era dunque dell'altro? Il serafino lo sospettò, quando seppe che i frati si raccoglievano quel giorno stesso a capitolo.
—Fratello,—gli aveva detto il padre Anacleto,—perdonerete se dobbiamo lasciarvi. Abbiamo una radunanza, chiesta da quattro dei nostri compagni, per un negozio urgente, a quanto dicono essi. Voi siete novizio….
—E non ci ho da entrare, non è così?—aveva ribattuto il serafino.—È giustissimo; fate pure.—
Giustissimo! fate pure! Ma, dentro di sè, il serafino biondo non trovò niente giusto che si discutesse, e probabilmente di lui (il cuore glielo diceva), senza che egli avesse a sentirne nulla. In pari tempo, promise a sè stesso che essi non avrebbero fatto nulla senza il suo beneplacito.
Perciò, a mala pena i conventuali di San Bruno incominciarono a recarsi in capitolo, egli, destramente, girando pel corridoio, era scivolato in chiesa. Cercava un luogo donde gli venisse fatto sentire qualcosa di tutti quei misteriosi discorsi, e andava attorno, assai più grazioso in vista, ma non meno avido, del leo rugiens quaerens quem devoret, di cui parlano le Scritture.
La sala del capitolo, come già si è veduto, aveva un uscio sul corridoio e un altro sulla sagrestia, che era attigua alla chiesa. Ora, dalla parte della chiesa la sagrestia era stata chiusa, certo in previsione di quella radunanza segretissima.
Entrato nell'anditino che era tra la chiesa e quell'uscio chiuso, il serafino biondo ebbe un'idea luminosa. Già, se le idee luminose non vengono ai serafini, a chi dovranno venire? Lettori, io lo domando a voi.
In quell'andito c'era la scala che metteva al campanile. Su per quella scala il serafino biondo c'era stato, per andare all'osservatorio del padre Bonaventura. E andando lassù, aveva anche veduti a mezza salita i due usci, uno dei quali dava sul cornicione della chiesa, e l'altro nel seccatoio. Pensare a quel seccatoio e infilar la scala del campanile fu un punto solo. In quelle due o tre camere, fatte nei soppalchi del tetto, i nuovi conventuali di San Bruno avevano raccolte tutte le cose inutili del monastero, le panche della chiesa, i palii degli altari, le tele polverose e sfondate, i tozzi candelabri di legno dorato, e via discorrendo. Il solaio era di legno. Ma anche il soffitto della sagrestia e del capitolo era di legno. Dunque? Dunque il serafino biondo ascese la scala col suo passo ventenne, e due minuti dopo mise il piede leggiero e guardingo su quel solaio benedetto, che prometteva tante consolazioni alla sua curiosità.
Veramente, a tutta prima, il nostro serafino mostrò di essere poco contento di quel solaio. Il palco era a doppio tavolato e le voci dei frati giungevano troppo confuse all'orecchio. Ma dopo essersi aggirato da una parte e dall'altra, come permettevano quei mucchi di anticaglie, che ingombravano la stanza, gli venne veduto un buco, largo quanto bastava perchè potesse passarci anche il pugno d'un serafino. Quel buco, saviamente scavato in prossimità dell'angolo che facevano due travi del palco insieme calettate, riusciva quasi sul mezzo della sala del capitolo, e dava modo, non solamente di udire tutto ciò che si dicesse laggiù, ma anche di vedere otto o dieci dei ventiquattro stalli di legno intagliato, che correvano intorno alle pareti. Quanto allo stallo più eminente, che era quello del priore, si poteva vederlo in pieno.
Come era stato fatto quel buco? Si trattava dell'opera vana di un topo, il quale avesse sperato di entrare da un palco morto ad una dispensa? O dell'opera utile d'un altro novizio, a cui premesse di sapere gli arcani del capitolo di San Bruno? Il serafino biondo non istette a meditarci su; ma salutò con animo grato quella tonda apertura, e v'applicò l'occhio da prima, indi l'orecchio.
I frati, in quel mentre, andavano ai loro posti, e il serafino biondo potè vedere il padre Anacleto che si era già rannicchiato nel suo stallo dalla spalliera intarsiata e dai bracciuoli in forma di mensole rovesciate.
Il cuore gli batteva forte, al serafino biondo. Egli sentiva di fare una cosa non bella, a spiare in quel modo i segreti degli altri. Ma infine si trattava di lui, laggiù; ne aveva il presentimento, e i presentimenti ingannano di rado. Del resto, a mettere la coscienza in pace, egli aveva fatto dentro di sè questo ragionamento:
—Se parlano di me, è giusto che io sappia che cosa dicono. Se parleranno d'altro, io me ne accorgerò alle prime, e me ne andrò subito subito.—
Mentre egli poneva il suo dilemma, i frati incominciavano la loro discussione.
—Padre Restituto,—disse il priore,—voi avete fatto una proposta….
—Non io solo;—interruppe il padre Restituto;—l'hanno fatta con me il padre Agapito, il padre Costanzo, il padre Ilarione.
—È strano,—osservò il padre Anselmo, volgendosi al suo vicino di destra, che era il padre Marcellino,—è strano che questi tre aiutanti del padre Restituto siano tutti nuovi venuti.
—L'ultimo a comparir fu Gambastorta;—rispose il padre Marcellino.
Ma la sua risposta e l'osservazione del padre Anselmo, profferite a mezza voce, non giunsero all'orecchio del monachino, quantunque fosse attentissimo.
—Bene;—diceva frattanto il priore;—siate anche quattro. Esponete le vostre ragioni; i nostri fratelli le ascolteranno, e nella loro saviezza risolveranno.
—Ecco, dunque;—incominciò a dire il padre Restituto.—A voler parlar nello stile degli antichi frati di San Bruno, direi che c'è scandalo, o principio di scandalo, nella nostra comunità. Ma poichè frati all'antica non siamo, e un certo frasario va lasciato da banda, dirò pianamente, ma con uguale schiettezza, che la nostra comunità, per una certa intrusione, contraria a tutte le nostre consuetudini, anzi allo stesso principio della nostra fondazione, corre grave pericolo di andarsene a rotoli.
—La cosa è grave;—notò il padre Anacleto,—ed io nella mia qualità di priore, dovrò metterci un pronto rimedio.
—Noi lo speriamo;—osservò il padre Ilarione.
In quel mentre si udì bussare all'uscio.
—Battono, dal corridoio. Chi sarà mai?—disse il padre Atanasio.
—Il padre Prospero o il padre Adelindo;—entrò a dire il padre Marcellino.
—Padre Prospero, forse;—notò il priore;—quanto al padrino, io stesso l'ho avvertito poc'anzi che, nella sua qualità di novizio, non poteva entrare in capitolo. Lo avrei detto anche al padre Prospero, se lo avessi incontrato.
—E adesso che facciamo?—domandò il padre Atanasio.
—Andate voi, fratello, che siete più vicino all'uscio;—gli disse il priore;—ditegli che è novizio e che abbia pazienza, se lo lasciamo fuori.—
La discussione fu per pochi istanti sospesa. Il serafino biondo approfittò della interruzione, per alzarsi dalla sua incomoda postura e ricogliere il fiato. Pensava, intanto, pensava alla misteriosa proposta del padre Restituto e de' suoi bravi compagni. Misteriosa! In verità non lo era gran fatto. Quegli accenni allo scandalo, al pericolo di scioglimento della comunità, e ciò per una intrusione contraria alle consuetudini del convento, non potevano risguardare che lui, il vezzoso monachino. E quei nuovi venuti, che tenevano bordone per l'appunto al padre Restituto! Bei tipi, davvero! Il serafino ne sapeva qualche cosa. Capitati gli ultimi nella comunità, si erano mostrati i più caldi nelle tenerezze per lui.
Monachino! monachino! anche voi, scusate la libertà grande del vostro istoriografo, anche voi non avete un'oncia di senno. Perchè andarvi a ficcare là dentro? O non lo sapevate, che una donna si nasconde male, e che il miglior travestimento, anche dissimulando perfettamente la forma, non basta a sopprimere l'arcano quid, l'incognito indistinto, che la fa sentire presente? Dicono che, quando nacque Eva, la natura tutta si commosse dal profondo; molli tepori compenetrarono l'aria, le erbe crebbero più rigogliose, i fiori si dipinsero di più vaghi colori. La cosa sarà e non sarà; possiamo anche lasciare la malleveria della notizia ai poeti. Ma il fatto sta che appena balzò Eva dalle mani del Creatore, Adamo si svegliò dal suo sonno. E qui il testo biblico ha un senso riposto, di cui mi fecero intendere la grandezza i miei professori di ermeneutica. La presenza della donna si sente; sono in lei certe delicatezze che parlano una lingua arcana ai nostri sensi, e questa lingua i nostri sensi la intendono senza averla imparata; miracolo che non è ancora avvenuto pel latino e pel greco. Inoltre, la donna ha questo potere su noi, che a tutta prima ci rende più teneri, desiderosi di apparir buoni, cortesi, galanti, spiritosi e via discorrendo. In ciò somigliamo grandemente agli uccelli, che nella lieta stagione mettono fuori la cosidetta "livrea d'amore", per piacere alla futura compagna, che aiuteranno poi nella fabbricazione del nido. Ma in seguito? In seguito perdiamo le staffe, la rivalità ci guasta il sangue, non ci vediamo più lume; per la donna ci guardiamo in cagnesco, davanti a lei ci azzuffiamo, ci sbraniamo come leoni. Tanto è vero che in un uomo solo ci sono varie specie di bestie!
Nell'alzarsi in piedi, il serafino biondo aveva voltata la faccia verso l'ingresso della stamberga. La luce della navata, che giungeva fino a lui, gli rammentò che non aveva chiuso l'uscio dietro di sè, e che forse era prudente il farlo, per aver tempo a levarsi da terra, nel caso che qualcheduno fosse capitato lassù. La cosa non era probabile, poichè tutti i frati erano a capitolo e il converso e la gente di servizio stavano altrove; ma era tra le possibili, e il nostro monachino si mosse per andare a richiudere quell'uscio. In quel mentre, gli venne udito un rumore di passi, che lo fece tremare. La cosa possibile diventava probabile. Se lo avessero colto là dentro, come avrebbe potuto spiegare il negozio? Per fortuna, al rumore di passi tenne dietro un suono di voce, e il monachino riconobbe suo zio, che era entrato in chiesa, non avendo potuto penetrare nel capitolo.
Corse allora sul pianerottolo, si affacciò all'apertura e chiamò lo zio con quel sibilo sommesso che già sapete; indi con la mano gli fe' cenno che restasse, dovendo egli trattenersi per qualche cosa lassù. Ma il padre Prospero, o non avesse ben capita la mimica del serafino, o aspettasse qualche altro schiarimento, si era inoltrato fin sotto al cornicione. Allora il serafino curvò il busto sulla ringhiera e raccolte le palme intorno alle labbra, lanciò allo zio questo savio consiglio:
—Prendi un libro e aspettami leggendo; ti dirò tutto, quando avrò udito quello che non hanno permesso a te di sentire.—
Il serafino aveva abbassata la voce d'un tono, ma staccava le sillabe in guisa che il suo discorso giunse intiero all'orecchio dello zio.
—Dove diamine avrà saputo che non mi hanno permesso di sentire?—pensò egli, ammirato.—Ah, ci sono, ci sono. Se ella può udire di lassù tutto quello che dicono, avrà anche sentito che non mi hanno voluto ricevere.—
E contento di quella scoperta, il padre Prospero s'inchinò con quell'aria di fiat voluntas tua, che soleva assumere ogni qual volta il serafino biondo mostrasse di voler qualche cosa per davvero. In prova d'obbedienza sollecita, si accostò allo scaffale più vicino, ne tolse il primo libro che gli venne alla mano, e andò a sprofondarsi nella lettura, ma non senza essersi sprofondato da prima in un seggiolone imbottito di bambagia, che era una delizia a sentirlo.
Il padrino Adelindo era tornato in quel mezzo al suo ascoltatorio.